De insula. Antologica dall’Ottocento al contemporaneo. Due esposizioni per un’unica mostra

In occasione della festa di Sant’Archelao, patrono dell’Arcidiocesi e della città, è stata inaugurata la mostra De insula che offre al pubblico un inedito corpus di oltre 300 opere d’arte tra tele, ceramiche e sculture dal XIX secolo ai giorni nostri. Una mostra molto importante per il fatto che è nata da un’iniziativa corale che ha visto insieme l’Arcidiocesi di Oristano, il Comune di Oristano, il Museo Diocesano Arborense e la Fondazione Oristano. Si tratta di un momento significativo, ha spiegato mons. Paolo Ghiani, Vicario Generale, nel presentare l’evento. L’intesa tra Comune e Arcidiocesi non sempre avviene, ma quando avviene è un arricchimento per tutti. Come per la realizzazione di questa mostra che non solo rinnova la vicinanza storica tra l’Istituzione comunale e quella religiosa ma apre uno spiraglio di speranza per le attività. È un tempo difficile questo, le attività non stanno bene soprattutto dal punto di vista economico e sociale. Pensare che la cultura e l’arte sostengano la nostra comunità è molto significativo e importante: arricchiscono l’umano nella economia e nella bellezza. Queste opere difficilmente appaiono al pubblico perché provengono da collezioni private: il fatto che le abbiano messe a disposizione per la realizzazione di questa mostra sono un segnale di condivisione e di apertura al desiderio di far ripartire la comunità. Non stupisca il fatto che sia stato scelto il giorno di Sant’Archelao per la sua inaugurazione. Anche l’Arcivescovo, nella sua omelia, in occasione della festa patronale, con le sue parole tocca sempre temi di natura sociale. Anche la cultura è dentro la socialità: promuoverla e condividerla aiuta a rafforzare la vita sociale in cui tutta la nostra comunità, religiosa e civile, è inserita.

Sacro e contemporaneo sono anche i due grandi filoni che accompagnano l’esposizione museale ideata e curata da Silvia Oppo, direttrice del Museo Diocesano Arborense e Antonello Carboni, divisi tra le sale del Museo Diocesano Arborense e quelle della Pinacoteca comunale Carlo Contini. Questa collaborazione non nasce con questa mostra, ha rivelato il vicesindaco oristanese Massimiliano Sanna, ma ha avuto inizio nel 2017 quando d’intesa tra le varie parti si istituì il biglietto unico per l’ingresso agli eventi presenti in città. De Insula oggi rafforza questa collaborazione ma apre la strada verso l’idea di un sistema museale provinciale che parte proprio da questo progetto con l’intenzione di allargare l’offerta territoriale culturale.


La mostra resterà aperta tutti i giorni grazie all’impegno della Fondazione Sardegna diretta da Francesco Obinu: nel Museo Diocesano Arborense dalle 17 alle 20 (il sabato e la domenica anche dalle 10 alle 13); nella Pinacoteca Carlo Contini dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19.


Recensione

De insula affida all’intelligenza dei collezionisti privati la ricostruzione di pagine di cronaca e di storia del capitale artistico raccolto in Sardegna. Un vasto arco temporale, che abbraccia 160 anni, viene raccontato nei volti, nelle luci, nei costumi e nelle forme attraverso un meraviglioso mondo iconografico in cui tutto parla di noi. Sono presenti 300 opere, tra tele, ceramiche, installazioni e sculture che manifestano i cambiamenti di epoca sia da un punto di vista stilistico sia da un punto di vista antropologico, sociale e culturale. Il viaggio ha inizio in un clima rarefatto, come nel ritratto ieratico di signora, realizzato da un grande maestro dell’Ottocento, e si conclude in un magmatico universo contemporaneo. Emoziona osservare come la continuità di una figurazione classica e tradizionale nei temi, possa riaffiorare sotto nuove vesti nel mezzo di mutate esigenze sociali e istituzionali. Il vecchio che lascia lentamente spazio al nuovo che avanza, conglobandosi e stratificandosi nell’invenzione di una nuova tradizione, e l’irruzione improvvisa dell’influenza di movimenti artistici hanno determinato l’affermazione di un nuovo gusto estetico in una società non sempre pronta e disponibile a recepire l’arte come elemento fondamentale per la crescita di una comunità. Nel frattempo, giovani artisti talentuosi emergono nei primi anni del Novecento e le committenze, non solo istituzionali e cimiteriali, si ampliano lentamente grazie al nuovo ceto borghese in cerca di prestigio e di un posizionamento sociale. Fioriscono sempre più le botteghe, le Mostre di Arte Sarda si affermano e il clima del dibattito culturale si fa più intenso.

Le sale espositive dedicano ancora nel 1921, per esempio, ampio spazio agli artisti dell’Ottocento come Ballero, Rossino e Melis Marini mentre Ciusa si inserisce in modo unico e considerevole come anello di congiunzione che lega il passato al presente dei giovani Altara, Dessy, Albino Manca e Federico Melis. Per assistere al vero cambiamento di paradigma è necessario attendere la fine degli anni’50. Sebbene già Mauro Manca sia stato precursore immaginifico nella produzione artistica isolana, la vera rivoluzione arriva grazie a un folto gruppo di giovani artisti che cercano di spazzare via, con violenza e accesa critica, tutto ciò che rappresenta la tradizione, abbandonando il figurativo e sposando totalmente l’informale. Si costituisce negli anni ‘60 un mondo binario, tradizione che si cristallizza e procede lenta verso il suo naturale declino e sperimentazione che guarda con voluttà al mondo che cambia. L’onda lunga della forza prorompente delle neovanguardie, promossa soprattutto a partire dagli anni ’70 dalla galleria Arte Duchamp di Cagliari, comincia ad assopirsi anch’essa sul finire degli anni ‘80, lasciando incertezza e un vuoto che lentamente viene ricolmato dalle nuove generazioni di artisti che, forse inconsapevolmente, hanno già compiuto una terza rivoluzione estetica, attraverso temi e modelli di un mondo in cui l’Io è esploso, fluido, e si cerca furiosamente di ricomporlo e dargli almeno una forma momentanea.

A cura di Antonello Carboni