Ora di religione: materia importante per formare i cittadini di domani

Condividiamo sul nostro sito diocesano la testimonianza del docente Stefano Pilia e l’intervista fatta alla prof.ssa Luisa Cherchi. Entrambi hanno raccontato a L’Arborense la preziosità dell’insegnamento della religione per la crescita formativa ed educativa dei ragazzi.


La testimonianza

Sono passati quasi 40 anni da quando accettai la proposta di insegnare religione nelle scuole. Era il 1984, ci fu una Revisione dei Patti Lateranensi; i tempi erano maturi per decretare che uno Stato repubblicano non poteva più riconoscersi in una religione di Stato. Da qui la decisione di ricollocare anche l’insegnamento della religione cattolica, obbligatorio dal 1929 nelle scuole di ogni ordine e grado (non universitarie) per via dei cervellotici compromessi orchestrati dall’idealista Giovanni Gentile per convincere un riottoso Mussolini a ricucire la breccia (soprattutto politica), aperta con lo Stato Pontificio dalla Presa di Porta Pia, nel 1870. Quella ricollocazione aveva alcuni punti definiti dall’accordo tra Repubblica italiana e Chiesa cattolica (del 1985), che aprì le porte delle aule italiane a una schiera di laici, come me, che già si cimentavano, o iniziavano a cimentarsi con gli studi teologici.

È curioso constatare che, anche di recente, sull’insegnamento della religione cattolica e sui suoi insegnanti, qualcuno ripropone un noioso copia e incolla che parla degli uffici diocesani come uffici di collocamento, della disciplina come catechismo, degli insegnanti come catechisti (pagati dalla Stato) e degli studenti che si avvalgono della RC come studenti cattolici (che andassero a dirlo ai miei studenti!).

Diradata la nebbia prodotta dal monocorde discorso di parte (come se l’IRC fosse il grande problema della scuola pubblica), la realtà ha tutto un altro sapore. Dati alla mano (2020-2021): in Italia l’83.40% degli studenti scelgono di frequentare l’ora di religione; 78,80% al Nord, 83,30% al Centro e 96,90% al Sud. Se l’oggetto della disciplina è confessionale (religione cattolica), la finalità specificata dall’Accordo menzionato è chiara: l’insegnamento è impartito secondo le finalità della scuola pubblica e ha come scopo quello di concorrere, insieme alle altre discipline, ma attraverso la cultura religiosa, a promuovere lo sviluppo della personalità dell’alunno, il suo livello di conoscenze e di capacità critiche (Dpr n°339/1987); di conseguenza ha programmi ministeriali e libri di testo.

Nella quotidianità scolastica, per gli studenti l’IRC è un’occasione per confrontarsi con quei valori che sono diventati storia viva del nostro popolo e sono entrati nel tessuto culturale dell’Italia e dell’Europa. Tanti di questi giovani si definiscono non credenti o dubbiosi, alcuni non sono battezzati, altri simpatizzano per altre appartenenze religiose, ma continuano ad apprezzare un confronto sereno con una tradizione religiosa ed ecclesiale nei confronti della quale sono spesso critici e dubbiosi. Se poi seguono l’ora di religione cattolica dalla prima alla quinta superiore… beh! è realistico pensare a un certo interesse; in particolare se teniamo conto che, tra le alternative, possono, addirittura, uscire da scuola.

La crisi pandemica che stiamo vivendo incomincia a far emergere un disagio giovanile che, in questi due lunghi anni, sembra aver fatto più danni del Covid-Sars19. L’81% dei dirigenti scolastici italiani di scuola superiore rileva che ansia, depressione, disagio esistenziale e disorientamento, affliggono molti dei nostri studenti, e pare che l’organizzazione della nostra didattica contribuisca sensibilmente ad alimentare certi problemi.

È sicuramente da qui che si deve ricominciare, con l’apporto delle famiglie e il reale sostegno degli esperti, a ripensare la scuola come luogo di benessere e crescita e futuro dei nostri giovani cittadini.

Stefano Pilia, docente IRC


L’intervista

Nell’Arcidiocesi arborense circa l’80% dei ragazzi sceglie di avvalersi dell’insegnamento della religione nelle scuole. Alcuni studenti, soprattutto nelle scuole superiori, decidono di non partecipare, ma nella Scuola dell’Infanzia, nella Primaria e nelle Medie, quasi tutti i bambini e ragazzi partecipano con grande interesse. Oggi, possiamo affermare che la situazione ha raggiunto un buon equilibrio, anche per quanto riguarda i docenti: gli insegnanti di religione, infatti, sono ben inseriti all’interno del contesto scolastico.

La decisione di non partecipare alla lezione di religione è certamente legata a diversi motivi, ma è facile ipotizzare il motivo principale: non essendoci una materia alternativa, la maggior parte di chi non sceglie l’ora di religione è perché vive l’ora buca come possibilità di riposo e svago. Oggi è riconosciuta come una materia importante come le altre e il docente di religione è visto come un insegnante che riesce a creare un rapporto stretto con i ragazzi, disponibile verso l’ascolto e che porta avanti varie iniziative coinvolgendo i ragazzi.

La religione è patrimonio storico e culturale del nostro paese, per cui l’insegnamento delle religioni consegue le finalità della scuola: non ha come obiettivo né il proselitismo, né di far catechesi, ma semplicemente insegna ai ragazzi a confrontare le varie religioni senza fare distinzioni e li forma a essere sé stessi, a riconoscere la propria unicità e la propria spiritualità.

Per approfondire questi temi, abbiamo intervistato Luisa Cherchi di Oristano, insegnante di religione da sedici anni. In particolare, le abbiamo chiesto di raccontarci più nel dettaglio la figura del docente di religione.

Qual è la situazione oggi dei professori di religione assegnati nelle scuole?

I professori di religione sono professionisti con capacità relazionali, progettuali e valutative. Dotati di creatività e aperti all’aggiornamento. Sono in possesso di competenze disciplinari che non si esauriscono nella conoscenza dei contenuti.

Il professore di religione è ancora un riferimento nel confronto o nei dibattiti come un tempo?

Si, è oggi più che mai una figura centrale di riferimento nella discussione, nel confronto e dialogo fra pari e con il docente. È un professore in grado di porre in essere un rapporto umano ed empatico che costruisce con gli allievi, parlando il loro linguaggio, ascoltando e intercettando le loro domande più profonde. Il docente di religione presta particolare attenzione ai vari stili di apprendimento, ai contesti esistenziali e alle sensibilità personali. I cambiamenti di crescita, infatti sono molto marcati nell’età adolescenziale, si educa superando il mero insegnamento della disciplina pur nel rispetto delle linee guida e della programmazione, coinvolgendo i ragazzi nella scelta di alcuni argomenti da affrontare e trovando il modo, ossia la chiave giusta, per entrare in relazione con loro.

Quanti sono i ragazzi che non partecipano a queste ore?

Partecipare all’ora di religione è una scelta. È giusto rispettare la libertà di coscienza di ciascun individuo e la libertà educativa propria di ciascuna famiglia. Sui 330 studenti a me affidati, soltanto una cinquantina di essi, non si avvale dell’ora di religione per motivi vari. Alcuni di questi riguardano il non essere credenti oppure perché sostengono che è un’ora in più di lezione ed è pesante. Preferiscono uscire un’ora prima. Gli studenti approdano alla scuola superiore con questa scelta già effettuata in terza media.

Perché un ateo o uno che professa un’altra religione dovrebbe avvalersi dell’ora di religione? Possiamo affermare che studiarla significa esplorare la nostra cultura e le nostre radici?

È una lezione che si rivolge a tutti quegli allievi che liberamente desiderano acquisire un approfondimento specifico sui temi della cultura religiosa. Si propone come contributo alla maturazione culturale di tutti, credenti e non credenti di altre religioni o atei. È un servizio educativo e culturale indispensabile per comprendere a fondo le radici della civiltà del nostro paese.

Intervista a cura di Francesca Pisano


Servizio pubblicato su L’Arborense n. 8 del 2022