Don Pala: È importante saper dialogare con tutti.

Abbiamo rivolto a don Paolo Pala, Baccelliere in Filosofia e in Teologia, e Licenziato in Pastorale e Catechetica, che ha guidato il ritiro di gennaio del Clero delle diocesi di Oristano e Ales-Terralba, alcune domande su temi legati alla sua relazione ma anche alla pastorale.

Oggi nel contesto civile la Chiesa è una comunità in minoranza, secondo Lei come possiamo porci come agenzia missionaria in questa epoca storica di mediazione e di passaggio?

Non ho risposte o ricette pronte: direi che dobbiamo cambiare atteggiamento. Di fronte alle sfide culturali moderne, di solito come comunità ecclesiale abbiamo un atteggiamento sbagliato. Ci presentiamo sempre come intimiditi. Abbiamo paura del cambiamento, il cambiamento ci fa lasciare strade e soluzioni sperimentate e note, per percorrere cammini sconosciuti e pieni di insidie. Abbiamo un atteggiamento intimidito nei confronti della cultura: questo è sbagliato. Dobbiamo rasserenarci e percorrere con coraggio nuove vie di riflessione e di confronto con la cultura. In molte trasmissioni televisive dove ci sono vari esponenti delle varie anime della società, se sono presenti cattolici o preti, sono sempre intimoriti e pessimisti. Talvolta i cattolici vengono ridicolizzati. Sbagliamo atteggiamento, dunque. Dobbiamo, con serenità, saperci confrontare con la cultura e con le idee che circolano senza atteggiamenti di sudditanza. È importante saper dialogare con tutti.

Nella sua relazione sull’insuccesso di Paolo all’Areopago, mi è parso che lei abbia voluto sottolineare il fatto che questa figuraccia sia dipesa dal fatto che Paolo ha voluto usare strumenti culturali altissimi, invece di affidarsi al semplice annuncio kerigmatico. Ma infondo quale è il motivo dell’insuccesso missionario di Paolo ad Atene?

Io credo che il mistero della non accoglienza dell’annuncio del vangelo, spesso non risieda né in chi lo annuncia né in chi lo riceve. I tempi di Dio non sono evidentemente i nostri. Alle volte anche oggi può succedere che un’azione pastorale poco programmata, abbia invece un grande successo e un’azione studiata nei minimi dettagli fallisca inesorabilmente. Io penso che Paolo abbia tentato di fare una mediazione culturale annunziando il vangelo con le categorie culturale del mondo ellenistico. Ma il vangelo è talmente dirompente che, anche se vincolato da schemi culturali e filosofici, sbaraglia le nostre categorie e si impone con la sua carica di grazia e forza spirituale.

La forza culturale greca ha tentato di delegittimare le motivazioni paoline; a ben guardare l’insuccesso all’Areopago non fu disastroso, anzi! Il brano si conclude con l’accenno all’accoglienza da parte di un certo Dionigi poi di una donna, Damaris, e di altre poche persone. Il vangelo attecchisce: la comunità, pur con numeri minimi, nasce, mette radici.

Lei ha lavorato molto per la pastorale vocazionale e per la formazione dei preti, sia come rettore del Seminario di Tempio sia come educatore e docente: come è il polso della formazione dei preti in Sardegna, in questo particolare momento storico?

Questa è una domanda complessa che meriterebbe un tempo e uno spazio molto lungo e articolato. Posso dire che in questi anni ci sono stati una miriade di interventi e documenti, regolamenti e piani pastorali e non è un buon segno si ha l’impressione che si vogliano mettere toppe nuove su vestiti vecchi. Non siamo solo noi in crisi: anche la società non sa bene cosa fare, vedi come si arenano le riforme nel campo educativo, scolastico e universitario. Viviamo una stagione di transizione.

Un’ultima domanda sulla riforma che sta portando avanti papa Francesco: una Chiesa in uscita. Ma verso dove, e come? Che tipo di Chiesa si sta preparando? Un piccolo gregge in un mondo di lupi?

Io penso che la Chiesa è sempre quella del Signore Gesù: il Papa non vuole fare una Chiesa nuova (e come potrebbe farla?). Papa Francesco vuole semplicemente ricordarci che non dobbiamo sederci; le difficoltà dei tempi moderni non ci autorizzano a bloccarci, anzi dobbiamo alzarci, uscire e andare incontro alle persone che, magari anche contestandoci, in realtà ci chiedono di mostrare loro una Chiesa come quella delle origini, dei tempi degli Atti.

A cura di Antonino Zedda, vicedirettore de L’Arborense