La dalmatica: Il diacono si riveste di Cristo servo

Durante il rito di ordinazione diaconale ci sono diversi momenti rituali intensi, vibranti e molto significativi, che catturano l’attenzione emotiva ed empatica dell’assemblea: la prostrazione dell’ordinando per terra e l’imposizione delle mani sul capo da parte del vescovo.

Vi è poi un rito molto bello e altamente significativo (anche se, talvolta, non se ne coglie il vero significato cultuale), mi riferisco alla vestizione degli abiti propri del ministero: la consegna della mitra e del pastorale, nel caso dell’ordinazione di un vescovo; la casula e la stola per un presbitero; la stola al modo diaconale e la dalmatica per il diacono. Vesti tipiche del diacono, che vengono indossate per la prima volta durante il rito dell’ordinazione, sono la stola posta al modo diaconale (cioè passante sul cuore) e la dalmatica.

Questi abiti caratterizzano sempre il diacono durante l’esercizio liturgico del ministero. L’origine e la funzione di questi abiti è davvero interessante. La dalmatica è una veste originaria della Dalmazia (una regione che geograficamente si estendeva nei pressi dell’attuale Albania), dal II sec. entra nell’uso civile dei cittadini romani d’ogni parte dell’Impero, soprattutto nell’Oriente e nell’Africa.

Era un abito di lusso, riservato agli imperatori, ai nobili e alle classi più elevate dei romani: confezionato in tessuti di lino o di lana, spesso anche di seta bianca, era di solito ornato con due strisce, chiamate claves, più o meno lunghe secondo la dignità della persona che l’indossava, e da dischi o segmenta, ambedue di colore rosso porpora. Consisteva in una lunga veste che arrivava fino a sotto le ginocchia, con larghe maniche scendenti fino al polso, si indossava sopra la tunica aderente al corpo; su di essa poteva portarsi anche il mantello.

Nel III sec. la veste era portata anche dai vescovi non solo durante i riti ma anche nei momenti di vita civile; infatti sappiamo dagli Atti del martirio di Cipriano (257) che il vescovo di Cartagine, giunto sul luogo dell’esecuzione, si spogliò della lacerna, poi della dalmatica, rimanendo con un semplice camice bianco (alba); questa ci si presenta per la prima volta come veste liturgica in un affresco del III sec. nelle catacombe di Priscilla nella rappresentazione della consacrazione di una vergine compiuta da un vescovo (forse dal Papa stesso) vestito con la dalmatica e penula. Nel IV sec. papa Silvestro (314 – 335), secondo il Liber Pontificalis, concesse ai diaconi romani l’uso della dalmatica come distintivo d’onore, per distinguerli dal clero.

Dal V sec. venne usata come veste liturgica, come testimoniano le pitture delle catacombe, dei mosaici e degli affreschi del Medioevo, a dalmatica aveva l’aspetto di una lunga tunica bianca adorna, lungo i bordi del collo, del fondo e delle maniche con fregi e ricami. L’opinione più comune è che la dalmatica fosse veste propria dei sommi pontefici e da essi concessa ai diaconi di Roma solamente per le solennità.

Lungo i secoli l’uso di questo paramento sacro è stato conservato: sempre confezionato in modo da farne uno degli abiti più preziosi e solenni. Anche nella nostra Cattedrale sono conservate dalmatiche antiche e preziose (dal XVII secolo a oggi): è usanza che le più belle vengano usate per le solennità e in occasione dell’ordinazione diaconale. È stato così anche per il novello diacono don Pierpaolo Brunzu che è stato rivestito, come tutto il clero arborense, da decine d’anni a questa parte con la dalmatica solenne, recentemente restaurata.