Mons. Roberto Caria è il Primo Collaboratore dell’Arcivescovo

Il 1° maggio, come prescrive il decreto arcivescovile di nomina, ha iniziato il suo servizio diocesano di Vicario Generale dell’Arcidiocesi arborense il presbitero diocesano mons. Roberto Caria.

Vediamo di approfondire gli ambiti, le prerogative e il servizio pastorale del nuovo Vicario generale, così come le norme giuridiche lo prevedono.

È il Codice di Diritto Canonico, nei canoni dal 475 al 481, che presenta, delimita e illustra i compiti e le prerogative di questo importantissimo ufficio ministeriale che dà spessore al primo collaboratore del vescovo. Questo ruolo, delicato e fondamentale, è legato all’esercizio della potestà vicaria episcopale da un lato, ma anche alla chiesa locale che il presbitero vicario è chiamato a servire e, in qualche modo, a governare secondo le indicazioni del Codice di Diritto Canonico e secondo le facoltà che il vescovo diocesano decide di delegargli: in poche parole il Vicario generale è legato alla persona fisica del pastore diocesano (del quale è il primissimo collaboratore) e perciò realizzerà una forma vicaria dell’esercizio del governo ecclesiale, ma anche al Codice che direttamente e non solo tramite il vescovo, indica le facoltà giuridiche che il vicario generale ha il dove di esercitare.

Riassumendo le indicazioni e le direttive codiciali possiamo dire, col can. 475 – §1, che: In ogni diocesi il vescovo diocesano deve costituire il Vicario generale affinché, con la potestà ordinaria di cui è munito a norma dei canoni seguenti, presti il suo aiuto al Vescovo stesso nel governo di tutta la diocesi. §2. Come regola generale, venga costituito un solo Vicario generale…

Il can. 477 ricorda che il Vicario generale deve essere nominato liberamente dal Vescovo e può essere, altrettanto liberamente, rimosso in qualsiasi momento, senza particolari motivi. Perciò la nomina è a tempo non determinato. Per quanto riguarda le caratteristiche personali, spirituali e ministeriali le indicazioni provengono ancora dai sacri canoni (soprattutto il can. 478 – §1) che chiedono che: il Vicario generale (ma anche quello episcopale) siano sacerdoti di età non inferiore a 30 anni; siano laureati (dottori) o almeno licenziati in Diritto canonico o in Sacra Teologia oppure almeno veramente esperti in tali discipline; siano poi persone degne di fiducia per sana dottrina, rettitudine, saggezza ed esperienza nel trattare gli affari della Chiesa.

Il paragrafo 2 dello stesso can. 478 avverte che l’ufficio di Vicario generale non è compatibile con l’ufficio di canonico penitenziere; inoltre non si può affidare tale ufficio a consanguinei del Vescovo fino al quarto grado. Infine il can. 479 – §1 chiarisce i principali ambiti del Vicario generale: a esso compete, in forza dell’ufficio, la stessa potestà esecutiva su tutta la diocesi che, in forza del diritto, spetta al vescovo diocesano, la potestà cioè di porre tutti gli atti amministrativi, a eccezione di quelli che il vescovo si è riservato oppure che richiedono, a norma del diritto, un mandato speciale del vescovo. Il can. 480 ricorda che il Vicario generale deve riferire al vescovo diocesano sulle principali attività programmate e attuate: chiaramente il vicario generale non deve mai agire contro la sua volontà e il suo intendimento.

Essendo il Vicario generale strettamente legato al vescovo che lo ha nominato, il suo ufficio termina quando si conclude il mandato del Vescovo. Infine essendo il Vicario generale Moderatore della Curia è fondamentale che egli coordini e diriga tutti gli Uffici e gli incarichi diocesani a iniziare dai Vicari episcopali e dall’Amministrazione economica dell’intera Diocesi.

Antonino Zedda, Cancelliere Arcivescovile