Omelia per la Messa Crismale 2022

14-04-2022

Un saluto cordiale ai carissimi confratelli vescovi, a tutti i presbiteri e diaconi, e voi fratelli e sorelle. La celebrazione della Messa Crismale acquista oggi un significato speciale perché rende visibile l’unità nella molteplicità di vocazioni che formano le nostre Chiese diocesane. La liturgia pone uno speciale accento sul sacerdozio ministeriale: i presbiteri sono chiamati a rinnovare oggi, di fronte al loro vescovo, le promesse sacerdotali. Ma non per questo sono in secondo piano le altre vocazioni che trovano nel Battesimo la loro sorgente: è proprio nel dialogo, nell’ascolto e nel contributo di tutte che la Chiesa si arricchisce e cresce.

Vi invito, pertanto, cari fratelli e sorelle a pregare per i vostri sacerdoti e per me, vostro vescovo, perché siamo fedeli, perseveranti, veri discepoli del Signore. Insieme affrontiamo la quotidianità e le fatiche del cammino cristiano. Abbiamo bisogno del vostro aiuto, della vostra preghiera, del vostro affetto e anche del vostro perdono.

Cammino di collaborazione e condivisione tra i presbiteri

La Cattedrale accoglie oggi, in un’unica Messa Crismale, i presbiteri delle diocesi di Ales-Terralba e di Oristano: è il segno tangibile della novità ecclesiale voluta dal Santo Padre, di unire, dal luglio scorso, in persona episcopi, le due Chiese diocesane. Si tratta di un cammino che deve superare la realtà giuridica e farsi realtà esistenziale, pastorale, progettuale, nel coinvolgimento di tutti: clero, religiosi e religiose e laici, per far risaltare la vocazione di ciascuno, nel contesto di una visione di Chiesa segnata dalla collaborazione e dall’accoglienza. Il passaggio dal dettato giuridico alla realtà pastorale ed esistenziale, avrà bisogno di tempo, preghiera, riflessione, accoglienza reciproca e impegno della volontà, e deve essere approfondito e migliorato: richiede un impegno fattivo dei presbiteri e dei laici dal momento che, creare una nuova realtà non si improvvisa ma richiede anche qualche rinuncia, chiama ad aprirsi a un modo nuovo di vedere il ministero pastorale e di crescere nella collaborazione. Anche i programmi più elaborati o creativi per funzionare hanno bisogno della convinzione delle persone e della loro decisione ad agire. Durante quest’anno non sono mancati momenti di condivisione tra i due Presbitéri: l’incontro tra i Consigli presbiterali e poi di entrambi i Presbitéri a settembre dello scorso anno; i momenti formativi in cui abbiamo condiviso gli stessi temi da approfondire; le giornate di ritiro spirituale di Avvento e di Quaresima; gli esercizi spirituali ad Alghero, occasione privilegiata per conoscersi meglio e condividere i percorsi pastorali. Questi appuntamenti possono avere la loro reale efficacia solo se affondano le radici in una convinzione più profonda, in uno sguardo di fede che legge con attenzione i segni dei tempi che lo Spirito del Signore vuole farci conoscere. Si tratta di mettersi nella prospettiva del cambiamento piuttosto che della conservazione o, per meglio dire, discernere cosa è necessario conservare, ripensare, riprogettare e cosa deve aprirsi alla novità, a nuove prospettive nel cammino della Chiesa che avanza.

La vocazione presbiterale nel nostro presente

Desidero ora, insieme a voi, approfondire alcuni aspetti del ministero presbiterale, come possa essere vissuto nel contesto attuale delle nostre Chiese diocesane e nella collaborazione tra le due diocesi. È sempre in agguato la tentazione di vivere il ministero nella nostalgia ancorata al passato o nella fuga in un futuro diverso che, forse, ci crea difficoltà. A questa tentazione dobbiamo rispondere che il ministero presbiterale va situato nel nostro presente. Ciò significa che, seppure il ministero conservi nel tempo la sua fisionomia essenziale, per esempio come ci è stata consegnata nella bella sintesi della Presbyterorum Ordinis, esso va situato e vissuto all’interno del contesto culturale e sociale in cui la Chiesa vive e opera, nella nostra Chiesa qui e oggi!

Solo in questo modo il presbitero saprà rispondere alle attese della gente a cui il Signore lo ha inviato. Siamo tutti consapevoli che il paradigma, che prima era certo, sicuro, stabile del vivere il ministero presbiterale, ora è messo in crisi dalla realtà ecclesiale e sociale. Voi stessi mi insegnate che il rapporto tra parroco e parrocchia è cambiato e questo suscita, in tutti noi, un senso di incertezza e di disorientamento. Ci rendiamo conto che non è possibile semplicemente essere ripetitivi, su quanto si è fatto sino a ora e, al tempo stesso, i nuovi sentieri da percorrere non sono così chiari. Sappiamo che i fedeli delle nostre comunità, quelli vicini, quelli quasi vicini e quelli relativamente lontani, oggi si attendono dal parroco cose diverse da quelle per le quali il parroco si era preparato e che pensava di fare. Questo provoca disagi personali e, nelle comunità, anche una certa conflittualità e tensione tra le attività tradizionali e le richieste necessarie della nuova evangelizzazione (Cfr. D. Pavone, La Rivista del Clero Italiano). Tanti di voi mi hanno manifestato che fanno fatica a conciliare il servizio alla Chiesa con la propria formazione, il riposo, la distensione, la cura dell’interiorità. Anch’io come vescovo, insieme agli altri vescovi, mi trovo di fronte a un non facile discernimento tra il nuovo, che ancora non si delinea chiaramente, e uno stile legato al passato che rassicura ma che ormai non parla più. Papa Francesco ci ha spronati più volte a interrogarci seriamente anche sulla formazione che i giovani ricevono nel Seminario, e ci invita a fare in modo che essi siano messi di fronte alla realtà ecclesiale attuale o non a quella ideale o astratta, che forse non corrisponde a quello che vivranno nel ministero pastorale, una volta usciti dal Seminario.

Dobbiamo interrogarci e capire insieme quali siano le priorità per le nostre chiese diocesane. Questo per evitare di concentrarci su tante cose, forse importanti ma non prioritarie, che poi non incidono, non aiutano la formazione cristiana, non fanno crescere la vocazione e l’adesione al Vangelo di Gesù.

La fraternità sacerdotale

Carissimi, come possiamo affrontare insieme queste fatiche? È, senza dubbio, essenziale al nostro ministero sacerdotale la fraternità presbiterale. Il giorno dell’Ordinazione ciascuno di noi è stato inserito nella realtà comunionale che è il Presbiterio. Siamo chiamati a vivere questa dimensione non con superficialità, o come un aspetto secondario, ma piuttosto come momento centrale nella spiritualità di comunione che deve guidarci. Il motivo pastorale della collaborazione viene dopo, prima ci sono le motivazioni teologiche e sacramentali che ci uniscono. Si condivide l’identità che viene data dal sacramento dell’Ordine, come ci ricordava il Vaticano II: Tutti i presbiteri, costituiti nell’Ordine del Presbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti tra di loro da un’intima fraternità sacramentale (Presbyterorum Ordinis, 8). Alcuni autori, che hanno scritto sul tema della comunione presbiterale, parlano di Presbiterio immediato e Presbiterio mediato, intendendo con questo che nell’ambito del Presbiterio immediato le relazioni sono più facili, quotidiane, meno formali.

È un’esperienza che già in qualche modo si realizza per le comunità con presbiteri che sono vicini pastoralmente, che servono una data zona, e fanno parte di un vicariato. In questo caso è più semplice trovarsi, pregare insieme, confrontarsi, confidarsi, incoraggiarsi. Nel Presbiterio mediato ci si incontra più per i ritiri, per i temi formativi da approfondire, ma si ha meno tempo, meno possibilità di ascolto e dialogo. Ora, queste due dimensioni fanno parte entrambe della vita del Presbiterio: ciascuna di esse va, però, valorizzata, fatta crescere e messa in relazione, in un tutto armonico e dinamico. L’appartenenza al Presbiterio fa parte essenziale dell’identità del prete. Non si dà identità senza appartenenza. Chi, talvolta, si chiama fuori, con scuse più o meno giustificate, e ha con i suoi confratelli relazioni inconsistenti o formali, rischia di vedere sempre più indebolita la propria identità presbiterale. Dobbiamo favorire in noi il senso di appartenenza. Come ci ricordava papa Francesco: è fondamentale per un sacerdote ritrovarsi nel cenacolo del Presbiterio. Quest’esperienza, quando non è vissuta in maniera occasionale né in forza di una collaborazione strumentale, libera da narcisismi e da gelosie clericali, fa crescere la stima, il sostegno e la benevolenza reciproca; favorisce una comunione non solo sacramentale o giuridica ma fraterna e concreta (Papa Francesco, Discorso alla 69ma Assemblea Generale della CEI, maggio 2016). Le parole del Papa sono uno sguardo alla concretezza del vissuto. Possiamo interrogarci come Presbiterio, sia di Oristano che di Ales-Terralba, sulla qualità delle relazioni, sulla maturità affettiva del nostro stare insieme, sul reale interesse reciproco. Non dobbiamo avere timore di affrontare i conflitti per risolverli, e neanche aver timore di volerci bene, dato che questo è chiesto dal Signore Gesù a tutti i suoi discepoli e quindi anche a noi, che siamo chiamati ad annunciare la sua Parola.

Quali sono gli atteggiamenti da far crescere nel Presbiterio?

In primo luogo il dialogo e la condivisione poi, il discernimento fatto insieme, la verifica, la correzione fraterna. La condivisione e la collaborazione sono fondamentali. Facciamo fatica a percorrere questa strada, facilmente siamo tentati dalla fuga, dal concentrarci in noi stessi, talvolta convinti che, da soli, le cose si fanno prima e meglio. Sappiamo quanto sia difficile pensare insieme ad altri, sentirci parte della Chiesa e del Presbiterio e anche far sentire, o sentire noi stessi, i laici come parte integrante della Chiesa. Qualcuno mi dirà: il compito del vescovo è proprio quello di far crescere il Presbiterio, di trovare strategie di formazione e stimoli per favorire la maturazione delle persone e della loro vocazione. Sono d’accordo e riconosco che non è stato facile, per diversi motivi, attuare tali strategie, seppure abbia cercato di tenere sempre aperte le porte dell’ascolto e del dialogo. Riconosco i miei limiti e le fatiche e ne chiedo perdono, a ciascuno di voi. Come ho avuto modo di dire altre volte, vi chiedo non solo analisi e lamentele, ma piuttosto suggerimenti, idee e disponibilità. Solo così, insieme, potremo rimetterci in cammino.

Parole di incoraggiamento.

Carissimi presbiteri e diaconi, la celebrazione della Messa Crismale che ci riporta al momento dell’ordinazione, è per me occasione per ringraziare ciascuno di voi. Voglio incoraggiarvi di fronte alle difficoltà che sperimentate nel ministero pastorale, sostenervi nei momenti di scoraggiamento, stimolarvi a riprendere i punti saldi e i fondamenti della vocazione presbiterale, per guardare insieme, come realtà ecclesiali chiamate a collaborare il futuro. Ringrazio e incoraggio tutti i cristiani, quelli che partecipano a questa Eucaristia, ma anche tutti quelli delle due diocesi a sostenere, con la loro preghiera i loro parroci, a farsi attivi nella collaborazione, a lasciar esprimere in profondità la loro vocazione laicale. In questi ultimi tre anni abbiamo dovuto affrontare situazioni impensate, nuove, difficili che hanno messo in evidenza in modo drammatico la situazione di fragilità delle nostre comunità e ci stanno interrogando, con forza, sullo stile pastorale che sino a ora si è seguito e che deve essere cambiato.

Voglio incoraggiarvi perché so che anche voi soffrite questa situazione, volete rispondere alla comunità, desiderate il meglio per i cristiani a cui siete inviati. Il modo migliore di rispondere è quello di approfondire la fraternità tra noi, di confrontarci con un atteggiamento di ascolto, di accettazione, di misericordia reciproca e verso la comunità. Talvolta mi è stato chiesto un programma pastorale. Sappiamo che un progetto fatto a tavolino non può affrontare i cambiamenti profondi che stiamo vivendo e rappresentare una ricetta risolutiva. Certo, forse, sono necessarie alcune indicazioni di fondo, ma sono convinto che l’Anno liturgico, con la sua sapiente scansione e la presentazione dei misteri della vita di Cristo, è già un programma più che intenso e ricco. Inoltre, gli elementi di cui abbiamo parlato e che la pandemia ci ha fatto scoprire, come l’ascolto attento tra noi, l’ascolto della Parola di Dio, la vicinanza con le persone, specie i piccoli, i malati, i lontani, l’annuncio della misericordia e della carità, già da soli bastano per impostare un cammino della comunità cristiana senza sovrapporre altri temi. Inoltre, il cammino sinodale che ci troviamo a vivere, non senza fatica bisogna riconoscerlo, è occasione di ascolto nelle comunità, di possibilità di dare voce ai cristiani perché ci aiutiamo reciprocamente a capire dove lo Spirito ci vuole condurre.

Cosa fare e quale percorso per andare avanti?

L’amministrazione dei sacramenti, che tanti problemi presenta in molte parrocchie, specialmente in relazione all’iniziazione cristiana, viene oggi sottolineata dalla consacrazione del Crisma e dell’olio dei catecumeni. Siamo scoraggiati per la risposta della gente, perché vogliono sacramenti senza un reale impegno nella vita cristiana. Cosa fare? Come reagire? Quale strada prendere? Talvolta mi pare di trovare, in qualche presbitero, una tendenza che, mi si passi la parola, ha una visione un po’ catara. Volere a tutti i costi una comunità cristiana completamente pura nei suoi ideali, senza mescolanze nel suo modo di esprimere la fede, essenziale nei segni e nelle manifestazioni religiose, totalmente svincolata da un cristianesimo sociale e consapevole e matura di cosa significhi essere discepola di Cristo, è certo un ideale affascinante. Ogni parroco lo spera e lo sogna, ma è ragionevole attendersi questo in modo così rigido? Sì dobbiamo educare, sostenere, motivare il cammino di formazione e maturazione, ma dobbiamo anche essere tolleranti, come la gente lo è nei nostri confronti, rispetto a una comunità che sta passando da un cristianesimo culturale e sociale a un cristianesimo per scelta, per convinzione, per adesione ragionata alla persona di Cristo. Nel vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù assume su di sé il mandato del Padre di essere Colui che è venuto a sanare, guarire, dare misericordia, istruire. Il Signore è ben consapevole dei limiti, sia dei suoi discepoli che della gente che lo segue, e che lo seguirà nei secoli. Egli agisce come padrone con il grano e con la zizzania, e come il padrone della vigna che vede l’albero di fico che non dà frutto ma decide, con magnanimità, di dargli altro tempo, di zappargli ancora intorno e di curarlo, nella speranza che porti frutto. A questo siamo chiamati noi presbiteri. Affido il cammino delle nostre Chiese diocesane all’intercessione della Madre del Signore che veneriamo con il titolo di Santa Mariaquas e di Nostra Signora del Rimedio. Quest’anno ricorrono i 70 anni della solenne incoronazione del simulacro della Vergine del Rimedio. Si tratta di una ricorrenza che, al di là della memoria storica e degli aspetti esteriori, contiene piuttosto la volontà di affidare a Maria la nostra preghiera, perché sappiamo come cristiani e come presbiteri testimoniare il Suo figlio Gesù.

A conclusione di questa riflessione porgiamo un cordiale saluto all’arcivescovo emerito mons. Ignazio Sanna, all’arcivescovo emerito di Sassari mons. Paolo Atzei, a mons. Giovanni Dettori vescovo emerito di Ales-Terralba. Ricordiamo con affetto e nella preghiera l’Arcivescovo emerito mons. Pier Giuliano Tiddia; il vescovo emerito mons. Antonino Orrù; i vescovi nativi delle nostre diocesi: mons. Mauro Maria Morfino, Vescovo di Alghero-Bosa (nativo di Arborea); mons. Mario Fiandri, Vescovo Vicario Apostolico in Guatemala (nativo di Arborea); mons. Giovanni Paolo Zedda, Vescovo di Iglesias (nativo di Ingurtosu); mons. Corrado Melis, Vescovo di Ozieri (nativo di Sardara); un caro ricordo per il nostro sacerdote in missione (Fidei Donum), don Luciano Ibba, in Sicuani (Perù) e i sacerdoti arborensi lontani: don Antonello Cattide e don Fabio Ladu. Questa è anche una felice occasione per ricordare gli anniversari di Ordinazione sacerdotale: mons. Modesto Floris (Decano di Ales-Terralba: il prossimo 15 settembre compirà 99 anni, con 74 anni di sacerdozio); mons. Nicola Cabiddu (decano di Oristano: il 24 marzo scorso ha compiuto 95 anni con 72 anni di sacerdozio); il 70° di mons. Ignazio Cabiddu; il 50° di mons. Antonio (noto Nico) Massa (diocesi di Ales-Terralba); il 25° di don Gianfranco Cossu (noto Gabriele); il 10° di don Fabio Brundu e don Patricio Kuncewitz. Ricordiamo gli ordinati lo scorso anno: don Andrea Martis e don Mario Meloni (diocesi di Ales-Terralba); don Antonello Angioni e don Daniele Quartu (arcidiocesi di Oristano). Un ricordo affettuoso per i tanti sacerdoti anziani e malati. Un ricordo speciale per i sacerdoti defunti (e i loro familiari): don Ernesto Zireddu, deceduto quest’anno; Ricordiamo e preghiamo per i nostri seminaristi del Seminario Regionale; il Signore ci dia la gioia di riaprire presto i nostri Seminari Minori. Anche se sono rappresentati da un piccolo gruppo saluto i ragazzi e le ragazze che mediante l’unzione col nuovo Crisma, riceveranno la Cresima durante quest’anno. Saluto le monache di clausura dei tre monasteri cittadini, con affetto particolare al folto gruppo di Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento di recente giunte nel monastero cittadino da Barcellona; i religiosi e le religiose, i laici che operano nelle Associazioni di volontariato, nelle Caritas diocesane Arborense e Alerense. Ma anche in quelle parrocchiali, e nei vari organismi diocesani e parrocchiali. Infine, saluto con affetto tutto il Popolo di Dio delle nostre amate Chiese Arborense e Alerese.

Benedico tutti: Chiedo la vostra preghiera!

+ Roberto  

Arcivescovo Metropolita di Oristano e Vescovo di Ales-Terralba