Omelia per la Messa in Coena Domini

Cattedrale di Oristano, 13 aprile 2017
13-04-2017

Cari fratelli e sorelle, il gesto più significativo della celebrazione di questa sera è sicuramente la lavanda dei piedi, che io eseguirò tra breve, a ricordo di quanto fece Gesù nella sua ultima cena. Ovviamente, non si tratta di un gesto teatrale, che può suscitare curiosità ma che non trova riscontro nella vita quotidiana dei cristiani. È un gesto altamente simbolico da tradurre in comportamenti conseguenti, tra i quali è importante soprattutto il prestare un servizio. La parola “servizio” la sentiamo ripetere spesso da singole persone e dai responsabili di istituzioni pubbliche. La frequenza dell’uso di questa parola, però, è inversamente proporzionale alla sua messa in pratica. Purtroppo, la sentiamo usare anche dagli amministratori che poi finiscono davanti ai giudici, perché invece di servire il bene comune hanno servito il bene proprio e i propri interessi. Non è il caso e non è il luogo giusto, ora, per lanciare accuse contro nessuno. Un esame di coscienza su come usiamo questa parola, però, fa bene a tutti, perché tutti siamo chiamati a confrontarci con l’esempio che ci ha dato Gesù.

Il gesto compiuto da Gesù nel Cenacolo era del tutto inatteso e sconvolgente, al punto che Pietro non voleva accettarlo. Papa Francesco, commentando l’anno scorso la lavanda dei piedi, si è soffermato sul senso del rifiuto di Pietro e sulle parole finali di Gesù: “Capite quello che ho fatto per voi? Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. Ha precisato che Gesù con il suo gesto indica ai suoi discepoli il servizio come la via da percorrere per vivere la fede in Lui e dare testimonianza del suo amore. Gesù stesso ha applicato a sé l’immagine del “Servo di Dio” utilizzata dal profeta Isaia. Lui, che è il Signore, si è fatto servo! Inoltre, lavando i piedi agli apostoli, Gesù ha voluto rivelare il modo di agire di Dio nei nostri confronti, e dare l’esempio del suo “comandamento nuovo” di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato, cioè dando la vita per noi. Lo stesso San Giovanni lo scrive nella sua Prima Lettera: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità”.

L’amore, ha proseguito il Papa, “è il servizio concreto che rendiamo gli uni agli altri. L’amore non ha bisogno di parole ma di opere concrete, come il servizio umile e nascosto. Un servizio, cioè, come l’ha proposto Gesù stesso quando ha detto: “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”. Un simile servizio richiede di mettere a disposizione i doni che lo Spirito Santo ci ha elargito per far crescere la comunità. Inoltre, richiede la condivisione dei beni materiali, perché nessuno viva nel bisogno. Da ultimo, Gesù ci invita anche a confessare a vicenda le nostre mancanze e a pregare gli uni per gli altri, perdonandoci di cuore. In questo senso, si espresse Sant’Agostino quando scriveva: “Non disdegni il cristiano di fare quanto fece Cristo. Perché quando il corpo si piega fino ai piedi del fratello, anche nel cuore si accende, o se già c’era si alimenta, il sentimento di umiltà. Perdoniamoci a vicenda i nostri torti e preghiamo a vicenda per le nostre colpe e così in qualche modo ci laveremo i piedi a vicenda”. In effetti, c’è tanta gente che passa la vita nel servizio degli altri. Nel fare un esempio concreto di che cosa significhi servire, il Papa ha riferito di aver ricevuto una lettera di una persona che lo ringraziava per l’anno della misericordia e gli chiedeva di pregare per lei perché potesse essere più vicina al Signore. La sua vita è tutta spesa nel curare la mamma e il fratello; accudisce la mamma che è a letto, anziana, lucida ma impossibilitata a muoversi, e il fratello disabile, in sedia a rotelle. Quando tu ti dimentichi di te stesso e pensi agli altri, ha concluso il Papa, dimostri di amare veramente gli altri.

Un grandissimo esempio di autentico servizio agli altri ce lo ha dato San Vincenzo de’ Paoli, che fu cappellano delle galere e apostolo della carità in mezzo ai poveri, i malati ed i sofferenti. Egli ci insegnò ad essere “servitori dei poveri” ed a riconoscere nella presenza dell’altro “povero di intelligenza, povero di beni, povero nella condizione di amore e di vita” la presenza dello stesso Signore. Scrisse: “non dobbiamo considerare un povero contadino o una povera donna secondo il loro aspetto esteriore né secondo l’espressione del loro spirito, perché spesso non hanno né l’aspetto né lo spirito delle persone educate, anzi sono volgari e grossolani. Ma date la volta alla medaglia e vedrete con la luce della fede che sono loro che ci rappresentano il figlio di Dio che ha voluto essere povero: nella sua passione non aveva quasi più l’aspetto di un uomo e passò per pazzo tra i pagani e per pietra dello scandalo tra i giudei. Proprio per questo ha potuto chiamarsi l’evangelizzatore dei poveri: “Evangelizare pauperibus misit me”. Dio mio! Come sarebbe bello saper vedere i poveri considerandoli in Dio ed apprezzandoli come li apprezzò Gesù Cristo. Se invece li guardiamo con gli occhi della carne e con lo spirito del mondo, ci sembrano disprezzabili.” (SVP XI, 725).

Alle sue religiose e ai suoi religiose arrivò a raccomandare: “non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. E’ una grande signora: bisogna fare ciò che comanda. Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcuna timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni”. Sulla stessa onda un altro grande santo, Giovanni XXIII, diceva: “Se volete davvero un futuro, andate con i poveri”. Scegliere i poveri, andare con i poveri, è una scelta d’amore che permette anche di “sciogliersi da tanti peccati”, infatti “come l’acqua estingue il fuoco, così la carità cancella il peccato” (cfr. Sir 3, 29).

Cari fratelli e sorelle,

“Chi non vive per servire non serve per vivere”. Queste parole le ripeteva spesso don Tonino Bello, ma non per il piacere di fare un gioco di parole, ma con la consapevolezza di averle vissute fino in fondo. Sull’esempio di Gesù. che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45), dobbiamo trovare forme e tempi per prestare un po’ di servizio agli altri. Se mettiamo in pratica l’esempio di Gesù, proveremo la gioia di colui che è contento più di dare che di ricevere, più di servire che di essere servito, più di amare che di essere amato.

Amen.