Omelia per la Santa Messa domenicale teletrasmessa da Rai Uno

06-05-2018

Cari fratelli e sorelle,

Gesù ha dato a Dio il nome di Padre, ed ha insegnato ai discepoli di tutti i tempi a chiamarLo e pregarLo con questo vero nome. Nei Vangeli, egli chiama Dio con il nome di Padre per circa 170 volte. S. Giovanni dà a Dio il nome di amore: “Dio è amore” (1Gv 4, 16), condiviso, in ciò, da S. Paolo, che ripete: “Dio è il Dio dell’amore” (2Cor 13, 11). La Scrittura, quindi, ber bocca di Gesù e dell’evangelista, indica la paternità e l’amore come le vie privilegiate per capire chi sia Dio nella nostra vita, ossia  come lo dobbiamo invocare, come lo dobbiamo ringraziare, come lo dobbiamo cercare. S. Agostino ha dato spessore teologico alla ricerca di Dio a partire dall’inquietudine del cuore umano e Alessandro Manzoni le ha dato dignità letteraria con la descrizione del famoso colloquio del Card. Federigo con l’Innominato. Anche se non con la stessa densità teologica agostiniana, e senza i toni drammatici del personaggio manzoniano, la nostra esistenza è attraversata da domande di verità e ricerche di senso. Abbiamo sogni comuni di essere amati e paure condivise di essere traditi, sogni frequenti di vivere felici e paure continue di cadere nel nulla. Siamo nel fango ma guardiamo le stelle.

La sorpresa della fede cristiana, in queste circostanze, è scoprire che Dio ci cerca per primo, che Dio ha fatto il primo passo per venirci incontro, si è manifestato a noi nella persona del suo Figlio Gesù Cristo. A questo riguardo, è bene sapere che il verbo più importante della Bibbia non è “vedere”, ma “ascoltare”. Il credo del popolo ebraico inizia con l’invito: “ascolta, Israele” (Dt 6, 4). La fede viene dall’ascolto, precisa San Paolo nella lettera ai Romani (Rm 10, 17). In ultima analisi, è sempre Dio che ci chiama, anche quando, come fece Adamo, ci nascondiamo (Gn 3, 9: “Adamo dove sei?”). Egli ci chiama per nome, così come chiama per nome ogni stella del cielo (Sal 146, 4: “egli conta le stelle e chiama ciascuna per nome.”). Egli ci disegna sulle palme delle sue mani (Is 49, 16: “Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani”). Noi non comprendiamo Dio, perché, secondo S. Agostino, se lo comprendessimo non sarebbe più Dio, ma Dio ci conosce fino in fondo (Sal 139, 1-2: “Signore tu mi scruti e mi conosci; tu sai quando seggo e quando mi alzo; penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo”).

Ma dove cercare Dio? Lo dobbiamo cercare dove Egli si nasconde e dove Egli si rivela. Secondo il Vangelo di S. Matteo, Egli si nasconde nelle persone scartate che hanno fame e sete, nei forestieri, nelle persone nude, nei sofferenti, nei carcerati (cfr. Mt, 25); nella nostra esperienza umana, Egli si rivela nel gesto eroico di coloro che, imitando Gesù, danno la propria vita per gli altri, come, per esempio, il tenente colonnello francese, morto offrendosi come ostaggio per salvare una donna che non aveva mai conosciuto, dando una efficace testimonianza di fede cristiana nel paese più laico d’Europa. In effetti, Dio si rivela attraverso le fessure delle cose, gettando luce sul buio delle tragedie familiari, degli amori traditi, delle speranze perdute, delle morti innocenti. Se in tutte queste vicende la sua presenza non viene percepita e la sua voce non viene ascoltata, è perché la copriamo con il rumore dei nostri scandali. La causa principale dell’ateismo, infatti, siamo noi cristiani. Noi scandalizziamo il prossimo, non perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza. Gli esempi di altruismo, i fatti di Vangelo, la profezia delle beatitudini vincono l’indifferenza religiosa della gente, e incoraggiano la conversione delle persone di cuore sincero.

Il titolo della prima enciclica di Benedetto XVI, che ho scelto come mio motto episcopale Deus charitas est non è uno slogan pubblicitario, ma una professione di fedeltà al comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. La fedeltà a questo duplice comandamento richiede certamente coraggio, ispirazione, perseveranza. Infatti, per odiare basta essere deboli; per perdonare bisogna essere forti; per credere è necessario rischiare. L’amore, l’affetto, l’amicizia, la stima reciproca sono una corsia preferenziale per condurre gli uomini a Dio. Presentano il volto umano di Dio e ci rivelano che per capire l’uomo bisogna partire da Dio. Chi ha un concetto alto di Dio ha un concetto alto dell’uomo, perché Dio “dice l’uomo”. Ascoltiamo, allora, la sua voce e saremo sicuri di avere sempre “una lampada che guida i nostri passi e una luce che illumina il nostro cammino”. Amen.