Omelia per la solennità di Corpus Domini

11-06-2023

Fratelli e Sorelle…

Solo poche ore fa abbiamo celebrato l’Eucaristia nell’antica chiesa di San Martino, nella memoria di tutti noi, in un luogo legato all’ospedale che ha lo stesso nome. Poco lontano dalla chiesetta si erge la nuova struttura ospedaliera, dove ogni giorno tanti uomini e donne, persone malate e bisognose, si avvicinano per ricevere aiuto, cura, speranza. Ecco, dunque, l’invito che il Signore ci fa in questo giorno dedicato alla celebrazione della sua presenza Eucaristica: renderci attenti verso i sofferenti, chinarci su quel corpo malato, segnato dall’infermità e dalle fatiche dell’età, che porta al tempo stesso il segno della dignità di figlio e figlia di Dio e nel quale Gesù, che pure ha sperimentato nel suo corpo ferite e dolore, si identifica.

La realtà sanitaria del nostro territorio è ben conosciuta e non nascondiamo le tante difficoltà e talvolta le situazioni drammatiche che le famiglie sperimentano, avendo in casa malati e anziani, anche con importanti patologie, che segnano in modo significativo la vita delle famiglie, la qualità delle relazioni, il lavoro, ma per le quali talvolta la risposta della Sanità pubblica si mostra lenta e complicata. Il Signore Gesù esige da noi, comunità cristiana, uno sguardo di attenzione, di cura, di accoglienza, verso questi fratelli sofferenti. È importante l’attenzione medica, la possibilità di poter accedere alle cure, di non dover aspettare all’infinito per una visita, per una operazione. Al tempo stesso è importante la qualità relazionale, che non dimentica che i malati sono persone. La necessaria attenzione all’economia, alla gestione delle risorse anche nell’ambito della Sanità non può far dimenticare che si tratta di umanità, di persone, della vita di uomini e donne.

Abbiamo idealmente fatto partire la processione dall’ospedale cittadino. Non è una scelta casuale, ma il desiderio di manifestare in modo visibile la preoccupazione di tutti per un settore che sappiamo si trova in sofferenza per tante ragioni: la riduzione dell’organico, la mancanza di medici e operatori sanitari, le strutture talvolta obsolete. Le proteste dei cittadini che in questi anni hanno richiamato l’attenzione alla Sanità nella nostra provincia e in altre, hanno richiamato l’attenzione su carenze ormai note. I bisogni dei cittadini vanno ascoltati e si devono dar loro risposte che uniscano creatività e organizzazione, economia e rispetto del malato, efficienza e attenzione al territorio. Sappiamo però che accanto alle malattie del corpo e all’invecchiamento del fisico, esistono le malattie dello spirito e l’invecchiamento della vita spirituale.

I padri del deserto, nei loro scritti, hanno indicato con chiarezza che cosa appesantisce lo spirito, lo soffoca e mortifica o talvolta lo fa morire, e cosa fa invecchiare l’interiorità, cosa la rende abitudinaria e stanca. Uno dei padri del deserto, Evagrio Pontico, parlava degli otto spiriti della malvagità: la gola, la lussuria, l’avarizia, l’ira, la tristezza, l’accidia, la vanagloria, la superbia e di come essi agiscono nell’interiorità della persona impedendogli quella familiarità e amicizia con Dio e insegnava come bisogna contrastarli perché non sottomettano l’uomo.

Questi antichi scrittori si rifacevano alla loro esperienza di vita e agli scritti di San Paolo, che nella lettera ai Galati, fa un elenco dei frutti dello spirito e dei frutti della carne: Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne… Sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere… Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé… (Galati 5, 16.19-25). Paolo ci fa comprendere che la malattia più grave dello spirito è quella di lasciare spazio in noi alle opere della carne, mentre siamo chiamati come cristiani a portare a maturazione i frutti dello Spirito, sia nella nostra vita quotidiana, sia nelle famiglie, nelle comunità, nella chiesa parrocchiale o diocesana o universale.

La crescita dei frutti dello Spirito non è spontanea o casuale, ma ci impegna personalmente, anche se sappiamo che, in questo lavorio interiore non siamo soli. Ci sostiene il Signore Gesù con il Suo spirito e con il dono della Sua presenza Eucaristia noi possiamo camminare e rialzarci dopo la caduta. La tradizione della Chiesa ci ricorda che l’Eucarestia non è un premio per i buoni. Il Signore stesso lo dice nel vangelo di Luca: non sono i sani che hanno bisogno del medico… (Lc 5, 27-32). Nel suo insegnamento la Chiesa ci presenta l’Eucaristia come dono, memoriale, ma anche cibo per sostenerci nel cammino quotidiano. Una medicina per la nostra anima, per la nostra vita spirituale. Nell’Eucaristia troviamo e incontriamo il Signore, come ci ricordava san Giovanni Paolo II in occasione della Giornata mondiale della Gioventù a Roma per il Giubileo del 2000. Parlando ai giovani, ma queste parole sono per ciascuno di noi, diceva:

In realtà è Gesù che cercate quando sognate la felicità;
è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate;
è Lui la bellezza che tanto vi attrae;
è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità
che non vi permette di adattarvi al compromesso;
è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita;
è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere
che altri vorrebbero soffocare.

È lui quel cibo attraverso il quale entriamo in comunione piena, che ci fa vivere in eterno, che ci strappa cioè dalla nostra mortalità e caducità e che ci inserisce nel mistero della vita divina. È lui il pane in grado di saziare ogni fame del nostro cuore: chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! (Gv 6,35).

Con quale spirito noi riceviamo l’Eucaristia? Ricevere il Corpo di Cristo non può diventare un’abitudine, un segno esteriore, una consuetudine meccanica. Siamo chiamati tutti a divenire uomini e donne eucaristici.

Cosa significa questo? Prima di tutto essere persone che si donano agli altri, che donano il loro tempo, la loro intelligenza, la loro attenzione specialmente ai più fragili. Essere persone che si fanno, per così dire, spezzare come si spezza il pane per essere condiviso. Dunque, persone generose, disponibili che sanno aprirsi ai bisogni degli altri. Noi possiamo fare questo perché abbiamo l’esempio di nostro Signore Gesù: un esempio di dono, di umiltà, di condivisione.

Mi piace ricordare un testo di San Francesco di Assisi che parlando dell’Eucarestia, nella Ammonizione n. 1 dice: Ecco, ogni giorno Lui (Il Signore) si umilia, come quando, disceso dal trono regale, venne nel seno della Vergine. Ogni giorno, infatti, viene a noi in umile aspetto. Ogni giorno scende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote. E come apparve ai santi Apostoli in vera carne, così oggi si mostra a noi nel pane consacrato. La presenza del Signore nell’Eucaristia è una presenza umile, misteriosa, semplice e solenne, che chiede di aver fede. È la stessa fede richiesta ai discepoli che vedendo Gesù come uomo, camminare e vivere con loro, talvolta hanno dubitato della sua divinità o che fosse l’inviato del Padre. Stasera siamo qui per un atto di fede, di speranza e di carità.

Pertanto, l’Eucaristia che prima abbiamo celebrato e poi portato qui in processione, dice in modo visibile la nostra fede nella presenza del Signore; proclama la nostra speranza di poterlo un giorno contemplare senza il velo della nostra umanità; dichiara la nostra carità perché Gesù nella Eucaristia ci spinge verso i nostri fratelli più deboli e sofferenti. Preparandoci a ricevere la benedizione del Signore Eucaristico, vogliamo lasciarci segnare dalla Sua presenza e accogliere l’invio per le strade del nostro quotidiano portandolo nelle nostre parole e pensieri e nelle nostre azioni. Amen

+Roberto Carboni, Arcivescovo