Omelia per la XXXII Giornata Mondiale del Malato

09-02-2024

Cari fratelli e sorelle,

la meditazione che desidero offrirvi in questa celebrazione per la XXXII Giornata Mondiale del Malato attinge a piene mani al messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato a tutta la Chiesa intitolandolo: Non è bene che l’uomo sia solo. Curare il malato curando le relazioni.

Mi rallegra che questo momento di preghiera con i malati e per i malati sia segno del cammino che le due diocesi sorelle di Oristano e Ales-Terralba stanno percorrendo insieme. Ringrazio perciò gli Uffici diocesani della Pastorale della Salute, don Giorgio Lisci e padre Gianluca Longobardi, per la cura nell’organizzare questa Eucaristia e ringrazio don Roberto Lai, parroco della comunità di Uras che ci ospita per questo momento di preghiera.

È il Signore stesso che ci riunisce, e vuole rafforzare in noi, nell’attenzione ai malati delle comunità delle due diocesi, la spinta a crescere nella condivisione e nell’ascolto reciproco. Questa celebrazione è un segno eloquente per tutti noi: siamo chiamati a riservare una speciale attenzione alle persone malate e a coloro che le assistono. Il pensiero va in particolare a quanti, in tutto il mondo, soffrono di tante infermità ma ancor più vivono il peso dell’indifferenza, della mancanza di cure, della fatica a reperire medicine. A questo si aggiungono le notizie che ci arrivano dai luoghi dove c’è la guerra, con il dramma dei feriti e l’impossibilità di avere cure adeguate. A tutti, specialmente ai più poveri ed emarginati, esprimiamo la spirituale vicinanza, assicurando la sollecitudine e l’affetto della Chiesa.

Il Papa ci ricorda che siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è iscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria. La malattia impone di uscire dal nostro mondo chiuso, per imparare a guardare agli altri, alla loro solitudine, al loro abbandono, e sentirci coinvolti. La vicinanza è un balsamo prezioso per coloro che soffrono, che dà sostegno e consolazione a chi soffre nella malattia. In quanto cristiani, viviamo la prossimità come espressione dell’amore di Gesù Cristo, il buon Samaritano che, con compassione, si è fatto vicino a ogni essere umano: ferito dal peccato, è segno per ogni cristiano che si fa vicino al prossimo sofferente.

Sempre papa Francesco continua nel suo messaggio: nei Paesi che godono della pace e di maggiori risorse, il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono. Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo. È decisivo l’aspetto relazionale: metterci in relazione con il malato, ma anche con gli operatori sanitari e intrattenere un buon rapporto con le famiglie dei pazienti. Proprio questa relazione con la persona malata trova una fonte inesauribile di motivazione e di forza nella carità di Cristo, come dimostra la millenaria testimonianza di uomini e donne che si sono santificati nel servire gli infermi.

Cari fratelli e sorelle, il comandamento dell’amore, che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli, trova una concreta realizzazione anche nella relazione con i malati. Affidiamo tutti i nostri malati presenti e quelli che non sono potuti venire alla Madre del Signore, alla Vergine di Lourdes. La prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri, familiari, amici, operatori sanitari, col creato, con sé stesso.

Oggi noi facciamo speciale memoria della Vergine che appare a Lourdes e che trasforma un luogo di sofferenza, un luogo emarginato e oscuro, in luogo di accoglienza, di luce, di speranza. A Lourdes la Madonna, attraverso coloro che si prendono cura dei malati, si è fatta attenta alla povertà dei suoi figli, dirige l’attenzione del Suo figlio verso i nostri limiti e ci invita ad avvicinarci ai sofferenti con il desiderio di manifestare l’amore e la sollecitudine di Dio. Ricordiamo nella preghiera questi nostri fratelli e sorelle, cresciamo in quel servizio gratuito e generoso nei loro confronti e accompagniamo i loro momenti difficili con la nostra preghiera.

Faccio ancora mie le parole del Papa: Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.

Così sia. Amen.

+ Roberto, Arcivescovo