Omelia solennità di Corpus Domini

14-06-2020

La solennità del Corpus Domini, il Corpo e Sangue del Signore, ci invita oggi ad accogliere il dono della Eucaristia che il Signore ci ha fatto nell’Ultima Cena prima di affrontare volontariamente la sua passione. In quella cena ha chiesto ai suoi discepoli di fare in memoria sua il gesto del pane spezzato e del vino condiviso. Una memoria non statica, ma viva, attuale, significativa e presente. La comunità cristiana ha raccolto questo mandato, e sin dagli inizi l’ha vissuto come il momento fondante di coloro che credono in Cristo. Nella pedagogia liturgica della Chiesa la solennità del Corpus Domini vuole rendere evidente con più forza la dimensione eucaristica del nostro essere cristiani. Come ci insegnano i grandi teologi: l’Eucaristia fa la Chiesa: la convoca, la fa convergere verso Cristo, come noi stessi sperimentiamo oggi: siamo qui per fare l’Eucaristia insieme e questo ci rende comunità. Per fare memoria e vivere la presenza di Gesù in questo modo mirabile e misterioso. L’Eucaristia ci fa crescere nella fede, giacché ci chiede di fidarci della Parola del Signore. Ci fa andare avanti nella speranza, perché nella Eucaristia sentiamo la presenza di Gesù che ci fa avanzare nonostante i nostri limiti e peccati. Infine I’Eucaristia ci fa maturare nella carità: infatti chi si nutre del Corpo del Signore non può non guardare con compassione al corpo martoriato dei nostri fratelli, non può non aprirsi con misericordia alla povertà, alla solitudine di tanti.

Ma se è vero che l’Eucaristia fa la Chiesa, non meno vero è che la Chiesa fa l’Eucaristia, dato che è la Chiesa che affida ad alcuni sui figli questo compito, perché celebrino questo sacramento per tutti e così il ministro ordinato e insieme tutti, popolo sacerdotale per il battesimo, offriamo il sacrificio eucaristico. Nel momento più difficile della pandemia, quando le restrizioni hanno reso difficile la celebrazione comunitaria, abbiamo sperimentato come la comunità ha bisogno dell’Eucaristia e l’Eucaristia per essere segno maggiormente eloquente ha bisogno della comunità.

La festa del Corpus Domini è nata molto tempo fa, istituita ufficialmente da papa Urbano IV nel 1267. Nacque dal desiderio di manifestare in modo ecclesiale, la fede nella presenza reale del Signore. Specialmente in risposta a una certa tendenza ereticale che la metteva in dubbio. Nella storia della Chiesa troviamo grandi miracoli eucaristici, anche legati ai grandi santi, che vogliono sottolinearlo.

Ricordo in particolare quelli affidati alla custodia dei frati minori conventuali (forse in memoria della grande venerazione che per l’Eucaristia aveva san Francesco): il miracolo di Siena, dove le particole, nascoste in una cassetta delle offerte da un ladro vennero ritrovate dopo tanto tempo e oggi dopo 290 anni mantengono ancora intatta la loro integrità, qualità, e freschezza, quando avrebbero dovuto già da tempo corrompersi come fa appunto un po’ di pane fatto con acqua e farina. Invece, come sappiamo dalle ricognizioni anche recenti, è pane fresco. L’altro miracolo eucaristico, ancor più inspiegabile, è quello di Lanciano. Si tratta di un miracolo antico, del VIII sec. Il sacerdote che celebrava la Messa aveva dubbi sulla presenza reale del Cristo e dopo le parole della consacrazione la grande ostia si è trasformata in carne e il vino in sangue. Gli studi anatomici eseguiti nel 1970-1971, da professori di anatomopatologia hanno potuto stabilire che si tratta di una sezione del miocardio di un cuore umano, di un uomo adulto.

Questa veloce rassegna dei miracoli eucaristici (ricordo che a Mogoro se ne attesta uno nella chiesa di S. Bernardino), non hanno certo lo scopo di suscitare meraviglia, bensì sono segnali indicatori che ci riportano all’Eucaristia celebrata per ricordare una verità di fede e invitarci di nuovo a vivere la celebrazione eucaristica con maggior partecipazione e fede. Il Signore certo vuole che noi comprendiamo la grandezza del dono, ma al tempo stesso desidera che non solo lo adoriamo, ma soprattutto che lo riceviamo in noi, essendo comunione con lui e con i fratelli. Il significato dell’espressione Corpus Domini ci rimanda al Corpo del Signore, la carne di cui si è rivestito venendo tra noi; carne che si può vedere, toccare, proprio come la nostra, e nei nostri fratelli poveri e sofferenti. È questa la grande sorpresa di Dio così come ce la racconta san Giovanni nel prologo del suo vangelo.

Ecco allora, che dalla celebrazione liturgica del Corpo del Signore dobbiamo passare alla celebrazione nella carità. Il Corpus Domini non può essere veramente vissuto se non ricordiamo come il Corpo di Cristo è anche la carne dei poveri (il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine, ci ricordava don Tonino Bello). È importante questa dimensione di attenzione al Corpo di Cristo del povero. Ecco dunque che in questa celebrazione oggi uniamo tre aspetti importanti che non vanno mai separati e che anzi devono sempre stare insieme: il primo momento è quello della celebrazione comunitaria della eucaristia, della cena del Signore dove si fa memoria del dono che il Signore ci ha fatto. Siamo chiamati a mangiare il pane. Si tratta quindi di sottolineare l’aspetto della Cena del Signore, del fatto che ci invita Beati gli invitati alla Cena del Signore. La partecipazione è ricevere il Corpo di Cristo nel pane eucaristico e farlo nostro, far sì che diventi la nostra vita. Il secondo momento dove, quello stesso pane conservato per essere portato ai malati, è anche pane che può essere adorato, riconoscendo in esso la Presenza misteriosa del Signore.

Oggi questa adorazione si riveste di solennità, sottolineata dalla tradizionale processione eucaristica, che non possiamo realizzare per la situazione che tutti conosciamo. Ma ci deve essere anche il terzo momento: quando siamo spinti dal quel pane, dal Cristo eucaristico, per le strade a trovare nel corpo dei poveri lo stesso Corpo di Cristo che deve essere circondato di attenzione, di carità, di misericordia e affetto. Infine, una parola sulla processione eucaristica, che fa parte integrante di questa celebrazione del Corpus Domini. Essa ha una sua valenza di natura teologica, antropologica, spirituale. Simbolica: dato che viene reso esplicito il portare il Cristo per le strade della nostra città perché la benedica. In questo modo sottolineiamo la verità che il Cristo ci ama, che con l’Incarnazione ha condiviso la nostra storia umana. Nella processione appare che siamo noi a portare il Cristo con solennità, ma effettivamente è Lui che porta noi con sé. Noi siamo infatti costantemente nelle mani del Signore. Si tratta dunque di un duplice messaggio: il Signore ci porta con sé e noi vogliamo portarlo a tutti perché venga conosciuto e amato. L’altro aspetto che si può aggiungere è che l’Eucaristia vive e anche si diffonde attraverso le persone che si nutrono dell’Eucaristia. Infatti l’Eucaristia ha una valenza di cibo che diviene poi vita concreta, sangue e carne, per essere portato e testimoniato nel suo stile di donazione di sé nel mondo.

Siamo chiamati a essere uomini e donne eucaristici per portare nella vita di tutti i giorni il Signore eucaristico, cioè l’invito a donarsi, a fare comunione, a perdonare, a farsi prossimo. L’Eucaristia viene anche chiamata comunione con una duplice valenza: di comunione con Cristo e con i fratelli con i quali si spezza il pane e lo si consuma. Infatti siamo qui per proclamare la comunione tra di noi. Ecco allora l’aspetto teologico e antropologico. Dall’incontro personale a quello comunitario. Oggi non possiamo fare la solenne processione e forse questa limitazione può favorire in noi il fatto della consapevolezza che siamo noi che dobbiamo portare l’Eucaristia, con la nostra vita e con la nostra testimonianza: non solo oggi, ma tutti i giorni.

+Roberto Carboni, arcivescovo